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Da rivali ad alleati, il possibile futuro di banche e fintech

16 Dicembre 2019
in Economia e Finanza, Fintech
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Da rivali ad alleati, il possibile futuro di banche e fintech
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Nel panorama economico e finanziario contemporaneo, ci troviamo di fronte ad un momento di forte discontinuità. L’ingresso nel mercato di operatori votati all’innovazione tecnologica sta progressivamente cambiando lo scenario fino alle nostre stesse abitudini d’acquisto e comportamenti sociali.

La fase aperta dalla chiave della normativa PSD2 e il cui passaggio è oggi “regolato” dalle grandi imprese tecnologiche internazionali, le cosiddette Big tech, ha innescato una serie di fenomeni nuovi.

Fino a poco tempo fa, vi era la ferma convinzione che le fintech fossero degli spietati concorrenti per le banche ma oggi si fa strada la convinzione che questi operatori innovativi possano collaborare con quelli tradizionali per migliorarne i servizi e favorire uno scambio che favorisce la crescita di entrambi. La collaborazione con queste due entità si sta concretizzando, in particolare, con i servizi resi alle imprese. Questo è quello che emerge dallo studio «Trend ed evoluzioni dell’invoice fintech a livello globale» realizzato da Assifact, Associazione italiana per il factoring, con Accenture Strategy.

L’open banking non sta cambiando solamente il modo di “fare banca”, il credito, la finanza, i pagamenti: stiamo parlando di una silenziosa rivoluzione culturale che coinvolge ciascuno di noi. Grazie a questo cambiamento, per la prima volta, viene riconosciuta la centralità dei dati, ai quali è affidato il ruolo di elemento di maggior valore della filiera. Il loro possesso e, soprattutto, la capacità di elaborarli sono il vero valore aggiunto del nuovo modello economico che si sta configurando. Tra i principali fattori che stanno influenzando sul cambiamento dei modi di “fare banca”, un ruolo di primo piano è ricoperto dall’importanza dell’innovazione e della digitalizzazione dei processi. Allo stesso modo, la nuova economia dei dati ha posto in essere un tipo di mercato in cui le compagnie tecnologiche dominano ed eccellono e del quale gli operatori tradizionali sanno poco. Per riequilibrare il cambiamento dei ruoli dei vari soggetti in campo, sarebbe necessaria una regolazione soft delle dinamiche in corso in modo che tutti gli operatori possano competere alla pari sullo stesso terreno di gioco.

La PSD2 può avere un effetto dirompente sul mercato bancario. I segnali di questa eventualità sono già evidenziati dall’adesione di molti operatori e dall’incrinarsi di sicurezze sedimentatesi nel corso del tempo. Anche se attualmente il principale interesse di questi operatori sembra essere l’enorme quantità di dati degli utilizzatori di servizi finanziari elaborati per offrire servizi a valore aggiunto ai consuma-tori, non è da escludere che presto possano decidere di “fare banca” a tutti gli effetti, avvantaggiandosi della posizione conquistata. Un’opzione che troverebbe un certo favore tra gli italiani, la metà dei quali, stando ad una ricerca operata da AtKearney, sarebbero disposti a cedere i propri dati finanziari alle grandi compagnie tecnologiche in cambio di sconti e migliori prodotti finanziari.

E’ inutile opporre resistenza a questa rivoluzione che, in un modo o nell’altro, troverà la propria via d’espressione. Dobbiamo, piuttosto, prepararci all’avvento del cambiamento dotandoci di strutture, strumenti e competenze che ci mettano in condizione di viverlo, affrontarlo e guidarne l’evoluzione.

Il settore della “finanza tecnologica” è l’avanguardia del cambiamento che sta creando un nuovo ecosistema. Globalmente, gli investimenti in questo settore, nella prima metà del 2018 sono incrementati in maniera rilevante con 57,9 miliardi di dollari per 875 operazioni. Un considerevole aumento rispetto ai 38,1 miliardi investiti in tutto il 20172. Stati Uniti, UK e Cina sono gli stati più attivi negli investimenti ma è rimarcabile anche la crescita di Francia, Giappone e Corea del Sud. In Italia, i dati non sono ancora paragonabili a quelli degli altri  paesi ma il dato apprezzabile emerso da una recente di PwC è che il nostro mercato domestico si sta strutturando per la crescita. Per il momento, tuttavia, dobbiamo registrare il fatto che le startup fintech italiane hanno difficoltà nel reperire adeguati finanziamenti per garantirne anche la sopravvivenza. Nel 2018, infatti, le startup attive erano 299 ma nel corso dell’anno 27 hanno chiuso. Il nostro Paese realizza un quinto del valore delle transazioni del settore rispetto al Regno Unito, un terzo rispetto alla Germania e la metà rispetto alla Francia.

La crescita generale del fintech è incentivata dalla crescente diffusione degli strumenti digitali e di quelli mobili, che in talune aree svolgono, tra l’altro, anche un’importante funzione sociale. I dispositivi mobile, in particolare, possono essere dei fondamentali strumenti di inclusione finanziaria in quei contesti in cui l’accesso a determinati servizi è molto difficoltoso. Il 60% della popolazione globale non ha accesso ai servizi bancari – 607 milioni di utenti dispongono di un telefono cellulare, ma non di un conto bancario. La tecnologia mobile potrebbe quindi fornire loro un accesso immediato ai vantaggi concessi dall’inclusione finanziaria. Fornire un’alternativa linea di accesso a credito e servizi è particolarmente importante in paesi in via di sviluppo che necessitano di formule innovative di stimolo alla crescita.

Il fintech è una macchina del tempo che ci porta nel futuro dei pagamenti e della nostra vita. Abbiamo un biglietto di sola andata per questo viaggio e non vi è alcuna possibilità né di scendere né di tornare indietro. A questo proposito, il Financial Stability Board – organismo internazionale che ha il compito di monitorare il sistema finanziario – interpreta in maniera evolutiva il ruolo delle start-up, in particolare di quelle fintech, in ambito finanziario. Secondo quanto emerge, infatti, le fintech non sarebbero più in diretta e alternativa concorrenza con le banche ma svolgono attività complementari e spesso in partnership con esse. Una strada dettata dalla necessità per le piccole start-up di raggiungere un vasto numero di clienti altrimenti irraggiungibili. Lo scambio con gli istituti tradizionali risulta particolarmente vantaggioso in quanto questi, dal canto loro, possono beneficiare dell’apporto innovativo addotto da queste imprese di nuova costituzione. Per le banche tradizionali il pericolo è dettato semmai dalla disintermediazione nei rapporti con la clientela: un fenomeno che si è manifestato già in alcuni dei mercati più maturi in cui sono protagonisti gli operatori Over The Top.

Questa tendenza è supportata anche dalle statistiche: il 41% degli operatori tradizionali a livello globale, infatti, ha avviato partnership con imprese fintech e l’84% intende avviare programmi di cooperazione nei prossimi anni.

La tendenziale crescita del fintech ha coinvolto anche il nostro Paese, soprattutto per quanto riguarda l’aumento nell’utilizzo e nella fiducia nei confronti dei servizi tecnologici. Nel 2018, infatti, il 25% degli italiani ha utilizzato i servizi digitali di pagamento per la finanza e le assicurazioni, contro il 16% dell’anno precedente, per una crescita pari al 54%. La crescita italiana nel campo delle start-up fintech è indubbia e forte, segnale di un’interessante vivacità intellettuale e imprenditoriale. Tuttavia, la posizione in Europa è ancora lontana dai principali paesi essendo solo 12°. La crescita italiana non può prescindere dal più ampio contesto europeo che dà una cornice più elaborata all’intero settore e ne può agevolare la crescita.

La tendenza, però, è chiara. Imprese fintech e tradizionali saranno un po’ meno rivali e più collaborative che in passato, in ballo c’è un bottino troppo importante per entrambe le categorie che nessuno si può permettere di perdere in via definitiva.

Tags: banchebankingbig techfintechpsd2
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