di Riccardo Porta
L’esperimento de El Salvador è deragliato. Il crollo del valore del Bitcoin sta facendo vacillare il presidente Nayib Bukele che proprio un anno fa, a settembre 2021, dichiarò il bitcoin moneta nazionale. Primo Paese al mondo.
Una iniziativa rischiosa che avrebbe dovuto accelerare l’inclusione finanziaria (il 70% della popolazione non ha un conto in banca). E avrebbe dovuto facilitare le rimesse dei tre milioni di emigrati, perlopiù negli Stati Uniti, che costituiscono più di un quarto del prodotto interno lordo del Paese. Non solo, Bukele contava sui bitcoin per finanziare investimenti pubblici: un ospedale veterinario e la costruzione di Bitcoin City, un paradiso fiscale attrezzato per il mining di bitcoin. Per finanziarsi El Salvador avrebbe dovuto emettere dei bond a 10 anni per un miliardo di dollari in criptovaluta.
Tutto però rimane sulla carta.
A distanza di un anno, meno del 2% delle rimesse sono state effettuate in criptovaluta e di Bitcoin City così come dei Bitcoin Bond nemmeno l’ombra.
I bitcoin in cantina si sono deprezzati del 60% e di soldi, in giro, non ce ne sono più.
Ora sono complicate, molto complicate, le trattative con il Fondo Monetario Internazionale per il prestito di 1,3 miliardi di dollari in scadenza nel 2023 e 2025. Il Paese rischia il default.
Purtroppo in questo caso si è cercato, in modo abbastanza evidente, di speculare sul Bitcoin (a settembre dello scorso anno sfiorava i 47.000 dollari) e indubbiamente non si sono tenuti in dovuta considerazione gli scenari possibili.
La cripto-svolta non si è avverata, purtroppo non ci sono in ballo le sorti di una azienda, di un gruppo di investitori o di alcuni privati ma quella di un intero Stato.
Quale sarà la prossima mossa?