Di seguito, il testo dell’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Assemblea di Confagricoltura
CONFAGRICOLTURA – Roma,12 dicembre 2023
La questione agraria ha segnato la storia d’Italia e quella dell’intera Europa. E ne ha caratterizzato lo sviluppo.
La relazione tra territori, risorse alimentari e popolazione è quel che ha, spesso, determinato modalità di vita, invasioni e guerre.
Le carestie hanno accompagnato le crisi demografiche e le migrazioni.
Il tema della scarsità di cibo costituiva una permanente preoccupazione.
Ancora durante la Seconda guerra mondiale la vita, in Italia, fu funestata anche da questo fenomeno.
Le tessere annonarie per la distribuzione di beni alla popolazione inquadrano quel periodo.
La guerra aveva sconvolto ogni regolare produzione agricola e distrutto ogni normale approvvigionamento.
Invocare sicurezza alimentare significava, all’epoca, affrontare l’assillo di nutrire in maniera sufficiente la popolazione. Significava affrontare la sfida di rimettere in moto processi produttivi vulnerati dal conflitto: porsi anzitutto, insomma, un problema di quantità.
La realtà di quelle privazioni ci viene restituita dai vecchi cine-giornali che, in bianco e nero, ci mostrano le immagini di navi Liberty, di costruzione Usa, che sbarcano in Italia aiuti alimentari nell’ambito del Programma UNRRA dell’Onu.
A descrivere la situazione basti ricordare che in quel gennaio del 1947 – a oltre un anno e mezzo dalla fine della guerra – il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola – accompagnando a Ciampino il Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, in partenza per Washington – sulla scaletta dell’aereo gli raccomandava di chiedere agli americani di aumentare la razione di pane “perché – testualmente – con duecento grammi giornalieri, i giovani non ce la fanno più”.
Alla luce di oggi ci appaiono affermazioni sbalorditive.
La sfida era dar da mangiare ai nostri concittadini.
La fame, l’insufficienza alimentare, appaiono attribuibili, oggi, ad altre situazioni.
Soltanto con difficoltà troviamo traccia, nella memoria, di come appartenessero alla gran parte degli italiani.
Eppure sono, in realtà, dell’altro ieri.
Appartengono agli anni fondativi della Repubblica, che aveva ricevuto in eredità fame e distruzioni.
Il 3 aprile 1946 – l’anno precedente alla richiamata missione di De Gasperi – il delegato italiano alla Conferenza internazionale di Londra sugli alimenti aveva avvertito che l’Italia “avrà grano per sole altre tre settimane”. Il giorno dopo Pio XII – rivolgendo a tutto il mondo un radiomessaggio per chiedere aiuti per l’Italia – chiudeva l’appello con le parole di impronta biblica “i pargoli domandavano pane e non era chi loro lo desse”.
Si comprende, quindi, il peso che l’agricoltura rivestiva per il futuro dell’Italia.
La rilevanza del suo ruolo – e la sua importanza per la ricostruzione dell’Italia e il rafforzamento della risorta democrazia – la riscontriamo da una semplice constatazione: la Costituzione della Repubblica Italiana è l’unica del suo tempo a dedicare un articolo espressamente al settore primario e alle condizioni necessarie per promuoverne lo sviluppo. Neppure dalle Costituzioni precedenti era stata riservata analoga attenzione.
Scelta politica di grande portata, dunque, quella di introdurre il tema agricolo nella nostra Costituzione – consacrandone il valore essenziale nell’Italia del dopoguerra e per quella del futuro – sul duplice versante della promozione della produzione e della questione sociale.
Il testo dell’art. 44 è eloquente: “Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove e impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà”.
In sostanza – lo ricordava un noto giurista e uomo politico, che ha dedicato i suoi studi al diritto agrario, Giovanni Galloni – l’obiettivo primario della previsione costituzionale era quello di accrescere la quantità della produzione agricola per soddisfare i bisogni della popolazione, uscita stremata dalla guerra.
Indicando l’obbligo di coltivare la terra.
Anche per questo l’art. 47 dispone che “la Repubblica favorisce l’accesso alla proprietà diretto coltivatrice”.
In nome di un più alto interesse generale, che travalica le normali relazioni economiche bilaterali.
In Costituzione viene definito l’interesse pubblico allo sviluppo razionale delle coltivazioni agricole, ritenuto degno di tutela.
Vi era una sottolineata consapevolezza dei Costituenti della rilevanza della materia in discussione, al di là della naturale dialettica delle opinioni.
La stessa problematica la ritroviamo, in seguito, affrontata nell’art.39 del Trattato istitutivo delle Comunità Europee.
Il Trattato di Roma del 1957, in sintonia con la Costituzione italiana, ne ricalca i temi, a dimostrazione dell’influenza della nostra Repubblica, paese fondatore, nell’ambito del processo di integrazione europea.
Soffermiamoci per un momento su questo, visto che successivamente la politica agricola comune sarebbe stata a lungo – e continua ad essere – uno dei pilastri dell’Unione Europea e garanzia per la nostra produzione agricola.
Questi gli obiettivi indicati: incrementare la produttività agricola, assicurando lo sviluppo razionale della produzione; assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola; garantire la sicurezza degli approvvigionamenti; infine – ed è un elemento di novità – assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori.
Come si vede, accanto alle esigenze di produttività e di produzione, ci si propone di intervenire sulle condizioni dei cittadini occupati in agricoltura, residenti nelle zone rurali.
Di fronte al mondo di oggi, è bene ricordare come nel nostro Paese le condizioni generali di partenza fossero così arretrate da farne una grave questione sociale, che affliggeva la popolazione e divideva anche le forze politiche circa le misure da adottare.
Una situazione talmente lacerante, quella allora esistente, da spingere un economista liberale come Luigi Einaudi, di lì a poco primo Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento, a presentare alla Costituente una propria proposta di formulazione dell’art.44 che prevedeva che la legge potesse imporre alla proprietà terriera, privata e pubblica, obblighi e vincoli, nonché di trasformare il latifondo per incrementare i piccoli e medi proprietari.
L’immane dimensione del passo in avanti, fatto in questi settantacinque anni, la ricaviamo dal video che abbiamo appena ammirato, presidente Giansanti, che ci introduce in un altro mondo.
Un mondo che le riforme e le politiche della Repubblica e quelle della Unione Europea hanno sollecitato e che le imprese agricole hanno plasmato.
Dovete, dobbiamo, esserne orgogliosi!
Per il livello di qualità e di produzione di ricchezza raggiunti, per la profonda rivoluzione sociale che, anche nelle campagne, ha reso effettivi i principi di eguaglianza sanciti nei primi articoli della nostra Carta.
Con la Costituzione – grande progetto di trasformazione – e la scelta europea, abbiamo contribuito a cambiare il destino di un ambito fondamentale della società.
L’agricoltura, da problema, da elemento di arretratezza, è divenuta sinonimo di opportunità e di benessere.
Più – e meglio – di altri comparti economici, ha saputo disseminare modernità, uscendo da un’attività di mera sussistenza, di autoconsumo autarchico, per creare valore, divenendo vettore di internazionalizzazione dell’economia.
Sono grato a Confagricoltura, presidente Giansanti, per questa opportunità di riflessione, che – ricordando doverosamente il passato – esorta a guardare ancora più avanti.
Agricoltura, questa sconosciuta si potrebbe dire: 220 miliardi di valore di beni prodotti – ci viene rammentato – e quasi 1 milione e 400.000 occupati nel sistema agro-alimentare.
L’Unione Europea – veniva ricordato – è il primo esportatore globale di prodotti agro-alimentari e, in essa, Italia e Francia si contendono il primo posto. E’ parte del soft power europeo.
Con essi, si esporta uno standard di qualità e di salute, si afferma un modello di consumo e di vita che si impone ai mercati – come nel caso della dieta mediterranea – con la persuasione del suo valore, il contrario di tentazioni di chiusura.
Si pensi che l’Italia è nel gruppo di testa della classifica dell’Unione Europea che ha valorizzato le nostre produzioni nelle denominazioni di “indicazione geografica protetta”, di “denominazione origine protetta”, di “specialità tradizionale garantita”.
Un’Italia, dunque, non sulla difensiva ma che può giocare d’iniziativa a tutto campo; in una stagione che vede, insieme, alimentazione, tutela dell’eco-sistema, governo del territorio, valorizzazione dei beni ambientali.
E’ necessario rendere tutti consapevoli di quanto centrale sia oggi l’agricoltura.
Un volano per la crescita, per la creazione di filiere produttive; presupposto per l’export delle eccellenze del Made in Italy; veicolo di innovazione e promozione della ricerca e della salute. Protagonista nella gestione dei territori e per la tutela dell’ambiente, proteggendo le culture, e le colture, che hanno modellato, nei secoli, il paesaggio e il modo di vivere italiano.
E’ stato Paolo Grossi, insigne studioso del diritto medievale e moderno – e anni addietro presidente della Corte costituzionale – a segnalarlo: “il territorio può avere impresso in sé indelebilmente la vicenda di un popolo, di un costume, di una storia”, arrivando ad affermare che “il suo prodotto tipico può costituire ben altro che un banale dato agro-alimentare”.
Aggiungo: con preziosi elementi di civiltà.
Se l’Italia è il Paese delle cento città, nasce dalle mille campagne.
E’ il Paese delle mille produzioni, a sottolineare quanto l’Italia sia debitrice all’opera di coltivazione e bonifica, iniziata, proprio nel Medioevo, con l’opera promossa dagli ordini religiosi, e va ricordata l’esperienza dei Cistercensi e delle loro Grange.
Attività che non si è mai arrestata, tanto che la nascita della Repubblica e il varo della sua Costituzione hanno prodotto – sulla via della attuazione delle norme di questa – una serie imponente di riforme agrarie che hanno portato alla trasformazione sociale dell’Italia, protagonista, fra gli altri, un esponente politico – Antonio Segni – che sarebbe assurto, poi, alla Presidenza della Repubblica.
Interpretando i tempi, si realizzava ciò che il grande costituzionalista Costantino Mortati aveva definito, parlando dell’art.44, come “la riunione delle proprietà della terra con il lavoro, che la feconda”.
***
Non è inutile rammentare che la geografia italiana è segnata dai primi insediamenti abitativi, nati là dove si è cominciato a coltivare la terra.
Produrre significa abitare un luogo, ed emerge qui l’influenza plurifunzionale che l’agricoltura esercita, con un rafforzamento dell’identità dei territori.
Un rafforzamento talmente incisivo da avere modificato anche i rapporti sedimentatisi nel ‘900 tra città e campagna.
Un rapporto non più di dipendenza, tanto meno di subalternità.
L’esercizio di una responsabilità sociale e ambientale riguarda in larga misura il sistema agricolo.
Oltre 10 milioni di italiani vivono in aree rurali. La superficie agricola utilizzata vale il 40% di quella totale del nostro Paese.
La Repubblica non può che incoraggiare l’esercizio di questa responsabilità di “cura della terra”, cogliendo l’occasione di farne una nuova fase di progresso.
Il tema dell’agricoltura assunse natura esemplare alla Costituente, caratterizzandosi come terreno sul quale si misurarono le diverse concezioni delle forze politiche proprio in materia di diritto di proprietà e libertà di impresa.
E’ l’intera Costituzione a essere interpellata.
Dall’art. 41 “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, ai richiamati 44 e 47, allo stesso articolo 9, nella nuova formulazione per cui la Repubblica, oltre a tutelare il paesaggio, “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.
Nulla come l’impresa agricola richiama e attua il secondo comma dell’art. 41 sulla finalità sociale e ambientale dell’attività imprenditoriale.
La complessità delle materie in gioco suggerisce, per altro, una lettura attenta delle previsioni costituzionali, a partire dalla formula “razionale sfruttamento del suolo”, anche allora non interpretabile in una chiave esclusivamente produttivistica, ma che, oggi, nella prospettiva della sostenibilità ambientale, viene letta come “ottimale utilizzazione del territorio”.
Con Giovanni Galloni si potrebbe concludere che “non si tratta più solo di estrarre beni dalla terra ma di considerare l’agricoltura come “generativa di beni comuni”.
Quando l’art. 44 parla di “stabilire equi rapporti sociali” non ci si riferisce più solo ai rapporti intercorrenti all’interno del mondo della produzione agricola ma “equi” sono i rapporti da instaurare a livello della prossimità sociale, dunque è la comunità nazionale ad esserne interessata, in tutte le sue sensibilità.
E non solo a livello nazionale o comunitario.
Presidente Giansanti, lei ha accennato alle tante crisi che si succedono, in velocità.
Permettetemi di cogliere l’occasione per esprimere la riconoscenza della Repubblica al mondo dell’agricoltura che, durante la crisi della pandemia da COVID-19, non ha mai cessato, neppure per un istante, di nutrire il Paese.
Gli agricoltori, al pari di altre categorie benemerite, hanno consentito a un Paese ferito di rialzarsi e riprendere il suo percorso.
Le recenti alluvioni hanno mostrato egualmente lo spirito di solidarietà connaturato a chi si occupa di agricoltura nei territori: il loro sacrificio, i danni che hanno subito, meritano di essere prontamente ristorati perché con politiche appropriate si creino le condizioni per la ripresa.
Ma, in contemporanea, si è affacciata la crisi derivante dall’invasione russa in Ucraina, con un uso spregiudicato da parte di Mosca della risorsa alimentare, utilizzata come arma strategica.
Il cibo, anziché diritto universale viene considerato arma di guerra, affamando popolazioni, destabilizzando nazioni, accentuando povertà e spostamenti di popoli.
La fame è uno spettro che si aggira nuovamente nei territori in guerra, e non solo; e si presenta, inoltre, nelle aree soggette a desertificazione.
Sono temi che, mentre richiedono interventi urgenti, presentano questioni di struttura sia negli ambiti bilaterali, sia in quelli multilaterali.
Il 2024 sarà caratterizzato da un grande esercizio di democrazia: il popolo europeo sarà chiamato a eleggere il Parlamento d’Europa, massimo organismo rappresentativo delle volontà dei cittadini del continente.
Occorreranno lucidità di giudizio e consapevole lungimiranza per essere all’altezza delle sfide che ci riguardano.
Le strutture dell’Unione hanno bisogno di essere rafforzate in numerosi ambiti, dalla difesa all’agricoltura.
Così come occorre non ignorare gli altri fori internazionali, dalle Nazioni Unite al G7 – che l’Italia presiederà nell’anno che sta per aprirsi -dove si pongono questioni di grande rilievo.
Le drammatiche vicende di questo periodo confermano come l’agro-alimentare sia la base di ogni concreta prova sul terreno della sostenibilità ambientale e sia, inoltre, la prima frontiera su cui si misura la stabilità internazionale e le politiche di cooperazione.
Sicurezza alimentare era espressione che si era spostata da una concezione quantitativa dei rifornimenti agricoli, a una qualitativa, relativa alla salubrità degli alimenti.
Oggi rischiamo di tornare drammaticamente indietro.
Ecco perché l’agro-alimentare è anche un veicolo di pace.
Nessuno più di voi ne è consapevole.
Libertà, coesione sociale, sostenibilità, Europa, sono valori ben presenti al mondo delle imprese agricole che sanno di essere protagoniste di una stagione di rinnovata vitalità.
Con la resilienza caratteristica degli agricoltori.
La Repubblica è certa che continuerete a fare la vostra parte.
Auguri !